Un Ricordo del Gorro, Capitolo di LM dedicato ad Andrea Gorreri

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Il Sindaco
view post Posted on 27/10/2008, 12:55




Cari amici, alcuni mesi fa iniziai a scrivere un capitolo per il 2°volume di Lunar Memories dedicato ad alcuni membri del Sindacato, tra cui Derrek Artiglio d'Orso, storico personaggio del Gorro per la campagna Vitae Nocturna (senza dimenticare il suo JJ del Sindacato Brujah).
Scrissi un 3/4 pg, poi lo lasciai in sospeso, ripromettendomi , presto o tardi di finirlo.
Ricordo che , quando dissi al Gorro che il suo pg avrebbe fatto capolino tra le pagine del mio romanzo era entusiasta.
"Appena lo finisco te lo mando via mail, così mi dici se ti piace ."
Purtroppo non ho fatto in tempo.
Il Gorro se ne andato prima.
Ieri, ho deciso di finirlo, non senza difficoltà.
Non volevo stravolgere quello che il Gorro era nella vita e nel gioco, e nemmeno fare una sviolinata.
Ho voluto scrivere un semplice capitolo che parla di sogni, di vita, ma sopratutto di amicizia.
Spero che vi piaccia.
Il Gorro non ne sarebbe soddisfatto: mi riprometto in un prossimo capitolo di dare al suo Derrek tanta azione e avventura, quella che il Gorro sognava, esattamente come noi. :cry:

Pasqui


Capitolo 14

“Life and Dreams””

Lunar City, Down town
Blocco 16, Stabile 24
Ore 00.17


“Sono in ritardo..”
“Taci, idiota. Chas non è mai in ritardo..”
“Ma vaffanculo Maxx, lo sai leggere l’orologio? Sono fottutamente in ritardo!”
“Sei proprio un coglione di muso rosso, ecco cosa sei. Williams se ne fotte del tempo, l’hai dimenticato eh, grassone?
“Sei un sacco di merda, Maxx…non sono grasso, ho solo le ossa grandi…
“Tu e la tua razza di ubriaconi mi fate schifo..”
“La mia gente è un popolo fiero e…”
“Si, un popolo di straccioni, sbronzi dalla mattina alla sera che si riempiono la bocca di cazzate; spiriti qua, spiriti là, sole, sabbia e droghe…”
“Lo vedi questo dito? Bene succhialo!”
“Oh, cielo! Il dito di Manitou..sei un grassone, Derrek, un fottuto grassone indiano pieno di merda. Ma ti rendi conto? Derrek Artiglio d’Orso? Ma si può avere un nome più sfigato di quello?”
“Fottiti australiano dei miei coglioni, la tua razza discende dai galeotti, i tuoi avi probabilmente come hobby stupravano le bambine,ma guardati! Il tuo spirito non è più capace di volare..ti sei fatto troppa merda chimica!”
“Non cominciare con le tue cazzate Cheyenne…
“Non sono cazzate.”
“Si che le sono, grassone!”
“Mi stai facendo girare le palle, Maxx, lo sai che quando mi incazzo sono guai..”
“Oh, che paura me la sto facendo addosso…magari adesso ti metti a fare la Danza del Sole, ti fai pisciare addosso dai tuoi guerrieri e fatto come un caimano ti lanci in battaglia contro John Wayne. Vai a farti fottere Derrek!”
“Dirò tutto a Chester…lui ha rispetto per il mio popolo..”
“Si si, già ti immagino: Papà, papà Chester, da bambino mi hanno chiuso la testa tra la portiera della macchina e due uomini di colore mi hanno sodomizzato…”
“Io ti ammazzo brutto bastardo…”
I comunicatori di Derrek e Maxx gracchiarono all’unisono, proprio nel momento in cui l’indiano stava afferrando per il collo il giovane medico australiano il cui viso era solcato da un sorriso inquietante.
La voce gelida e monocorde di Wolf attraversò mesta l’aria.
“Dateci un taglio o scendo.”
Il sorriso da squilibrato di Maxx scomparì improvvisamente e con una manata si libero dalla presa di Derrek che lo fissava con i suoi occhi neri in parte nascosti da lunghi capelli unti.
“Hai sentito grassone? Dacci un taglio..”
“Hai cominciato tu..vaffanculo!”
Nuovamente la voce dello spetnatz russo attraversò l’etere per giungere alle loro orecchie.
“Non mi ripeterò.”
Alla voce fece seguito il clangore sinistro del caricatore di un fucile.
Quel pazzo era pronto a sparare se i due vampiri non l’avessero piantata di fare casino.
Maxx con disinvoltura si appoggiò entrambe le mani sulla testa rasata mentre l’indiano, con gli occhi sbarrati per la paura aveva messo una mano sul trasmettitore, parlando sottovoce.
“Quello ci ammazza” ,bofonchiò con aria preoccupata.
Maxx fece un cenno di intesa verso Derrek e con disinvoltura prese il comunicatore.
“Relax yourself Wolf! Stavamo solo sfogando la tensione..sai com’è..qui Sir Testa di Cazzo è in ritardo..”
“Vedi!” lo interuppe esagitato Derrek., “te l’avevo detto che Chester era in ritardo, sei proprio uno stronzo..”
“Fottiti obeso…” lo liquidò senza tante cerimonie l’australiano che, in quel momento sembrava più concentrato nel sistemarsi la sua tuta sportiva all’ultima moda e ad evitare che il russo gli piantasse una pallottola in mezzo agli occhi.
“Lì com’è Wolf la situazione?” chiese distrattamente Maxx, cercando di sviare l’argomento.
“Qui è tutto pronto. Nessun problema.”
Maxx e Derrek si guardarono quasi all’unisono verso l’alto, fissando nel buio un alto palazzo fatiscente, illuminato ad intermittenza dai lampi di quella notte di pioggia .La facciata dell’edificio sembrava un volto tumefatto e scrostato le cui innumerevoli finestre senza vetri ne imposte sembravano decine di occhi neri intenti a fissare il vuoto della Downtown. A quel mostro di cemento armato non rimaneva ancora molto tempo da passare in piedi, prima di crollare come un castello di carte.
Wolf era da qualche parte tra quelle macerie, mimetizzato da quasi due giorni in compagnia solo del suo fucile di precisione, dei piccioni e della pioggia fetida.
I suoi colpi erano rari come le sue parole, ma come ogni proiettile centrava il bersaglio alla perfezione; anche il suoi inglese storpiato da un accento dell’Ucraina sapeva farsi capire al volo.
Per certi versi il suo Mosin Garand modificato parlava una lingua universale, una sorta di esperanto fatto di colpi perforanti camiciati in acciaio, con punta in teflon rinforzato.
Se Maxx credeva di essere un perfetto squilibrato si era dovuto ricredere nel conoscere su al Memphis Belle gli altri mattacchioni del Libero Sindacato.
La più normale era una bambina muta che passava il tempo a fare disegni in bilico fra il macabro e l’infantile. Ma Wolf, tra tutti, si candidava a pieni voti per ricevere l’ambito premio per lo psicotico numero 1 tra i Fratelli.
Chester, davanti ad una pinta di Guinnes scura dal gusto orribile, gli aveva raccontato che in vita quel ragazzo era stato arruolato in un corpo speciale russo, soldati addestrati per combattere e sopravvivere in ogni condizione e contro qualsiasi avversità.
Gli Spetsnaz, così come venivano chiamati alcuni reparti speciali russi e di alcuni paesi ex-sovietici, erano stati identificati in Occidente, ai tempi della Guerra Fredda, cercando di colmare i buchi nelle informazioni riguardanti le reali capacità delle Forze Armate Sovietiche, come una sorta di Reparto speciale di elite per contrastare in guerra i Berretti Verdi americani e i SAS inglesi.
Nessuno in realtà sapeva esattamente in cosa consistevano realmente gli “Spetsnaz”, fatta eccezione per le alte sfere del Kgb.
Alcuni scienziati scappati in America negli anni 50 del ventesimo secolo parlavano i termini piuttosto vaghi e nebulosi che gli uomini di questi reparti fossero il frutto di esperimenti condotti sugli esseri umani da parte di scienziati nazisti che, con il benestare di Stalin, avevano potuto continuare i loro esperimenti agghiaccianti che avevano iniziato nei campi di concentramento.
Ovviamente l’intero argomento era Top-secret anche negli USA; difatti anche lo Zio Sam aveva i suoi scheletri negli armadi in quanto responsabile di aver fatto la medesima cosa con l’operazione “Paper Clip” che aveva permesso a criminali tedeschi di rifugiarsi in America e continuare i loro studi.
Se gli americani erano andati sulla Luna era grazie solamente agli studi di Von Brown, il creatore dei Missili V1 e V2 che avevano pesantemente bombardato e portato la distruzione su Londra.
Da sempre in guerra la definizione di amici e nemici tendeva a diventare sempre più labile.
Ma, al di là della realtà storica, quello che realmente spaventava degli Spetsnaz era la loro sinistra fama.
Le leggende volevano anche che, tra le prove sostenute da questi Reparti Scelti dell’esercito russo ve ne fosse una di sopravvivenza che contemplava il cibarsi di carne umana per sopravvivere nella steppa siberiana.
Maxx non sapeva se ciò corrispondeva a verità o no e nemmeno gli importava. Lui era un dottore, non un assassino.
Era impossibile stringere qualsiasi legame di simpatia o amicizia con l’ex-soldato; a volte gli pareva solo un corpo senza anima, una fredda macchina da guerra fatta per uccidere, una sorta di robot in carne ed ossa che aveva avuto il culo, o la sfiga a seconda di come la si vedeva, di diventare immortale.
Sapeva, grazie ai file che Sir Williams gli aveva permesso di leggere che Wolf era stato impiegato in battaglia in Afghanistan durante l’occupazione russa ed in seguito si era distinto in azioni di liberazione di ostaggi e in operazioni di antiterrorismo, in particolare contro i movimenti indipendentisti della Cecenia.
Chas l’aveva conosciuto proprio durante una di queste operazioni, nel lontano Settembre del 2004, durante la tragedia della scuola di Beslam, in Ossezia del Nord.
Ne Wolf ne il nobile inglese avevano mai raccontato cosa in realtà era successo quella notte.
Nessuno del Sindacato lo sapeva, fatta eccezione per la piccola Zenith.
Ma la bambina immortale , tra i suoi tanti doni non aveva quello della parola ne, almeno in apparenza, quello della memoria; Chester in più occasioni aveva affermato bruscamente che era meglio così. A dirla tutta l’argomento lo faceva incazzare a morte.
Certi orrori devono restare nascosti per sempre.
Nel passato di Zenith vi era racchiusa tutta la brutalità umana con la sua insensata brama di sangue e distruzione.
Nel frattempo, al riparo sotto una vecchia tettoia in ferro arrugginita la corpulenta figura di Derrek era appoggiata stancamente ad un muro, nella sua bocca un sigaro consumato il cui puzzo riempiva l’aria umida mentre il comunicatore pendeva distrattamente dal collo.
Il suo viso grasso e attraversato da un infinità di rughe era crucciato mentre i suoi occhi neri erano socchiusi, intenti ad osservare qualcosa coperto in parte dalla danza ipnotica del fumo che saliva nel buio della notte.
A pochi metri da lui, sopra un vecchio palo arrugginito che una volta doveva servire a sorreggere un qualche segnale stradale, Derrek aveva appeso un piccolo acchiappasogni rosso, ornato da piume nere di corvo.
Nella sua testa la visione del nonno che gli raccontava le antiche leggende Cheyenne era un qualcosa di indelebile, impossibile da cancellare.
Derrek era un meccanico, forse il migliore su Lunar City. Tutto ciò che aveva un motore di qualsiasi genere non aveva segreti per l’indiano, capace di prendere un aereo volante e rivoltarlo come un calzino in pochissimo tempo.
Tuttavia, tra generatori, marmitte e turbine, trovava il tempo e la volontà di credere ancora alle leggende .
Quel piccolo oggetto, che per molti poteva essere semplicemente una cazzata folcloristica rappresentava per lui qualcosa di vitale importanza.
Bastava pensare alla leggenda che narrava le origini dell’acchiappasogni.
Molto tempo prima che arrivasse l’uomo bianco, in un villaggio cheyenne viveva una bambina il cui nome era Nuvola Fresca. Un giorno la piccola disse alla madre, Ultimo Sospiro della Sera:
” Quando scende la notte, spesso arriva un uccello nero a nutrirsi, becca pezzi del mio corpo e mi mangia finché non arrivi tu, leggera come il vento e lo cacci via. Ma non capisco cosa sia tutto questo”.
Con grande amore materno Ultimo Sospiro della Sera aveva rassicurato la piccola dicendole: “Le cose che vedi di notte si chiamano Sogni e l’uccello nero che arriva è soltanto un’Ombra che viene a salvarti”
Nuvola Fresca, ancora turbata rispose dubbiosa: “Ma io ho tanta paura, vorrei vedere solo le Ombre Bianche che sono buone”.

Allora la saggia madre, sapeva che in cuor suo sarebbe stato ingiusto chiudere la porta alla paura della sua bimba, inventò una rete tonda per pescare i sogni nel lago della notte, poi diede all’oggetto un potere magico: riconoscere i sogni buoni, cioè quelli utili per la crescita spirituale della sua bambina, da quelli cattivi, cioè insignificanti e ingannevoli. Ultimo Sospiro della Sera costruì tanti acchiappasogni e li appese sulle culle di tutti i piccoli del villaggio cheyenne. Man mano che i bambini crescevano abbellivano il loro acchiappasogni con oggetti a loro cari e il potere magico cresceva, cresceva, cresceva insieme a loro… Ogni cheyenne conserva il suo acchiappasogni per tutta la vita, come oggetto sacro portatore di forza e saggezza.

Ancora oggi, a secoli di distanza, ogni volta che nasceva un bambino, gli Indiani ne costruivano uno e lo collocano sopra la sua culla. Con un legno speciale, molto duttile, plasmavano un cerchio, che rappresenta l'Universo, e intrecciavano al suo interno una rete simile alla tela del ragno. Alla ragnatela assegnavano quindi il compito di catturare e trattenere tutti i sogni che il piccolo farà. Se si trattava di sogni positivi, l’acchiappasogni li avrebbe affidati alle forze della natura per farli avverare. Se li giudicava invece negativi, li consegnava alle piume di un uccello e li farà portare via, lontano, disperdendoli nei cieli.

Derrek non era il tipo da avere troppi sogni da far avverare; gli bastava avere i suoi motori, le sue fumate in compagnia di Mark, le balle di Chester, i litigi religiosi con Padre XXXX nelle lunghe nottate noiose al Memphis Belle, un Harley Davidson lucida come una puttana d’alto bordo e alcool di ogni tipo e genere.
Ma nel suo cuore la cosa più vicina ad un sogno era un semplice desiderio che rappresentava tutto per il corpulento Cheyenne: proteggere ed aiutare i suoi amici.
Derrek non sapeva se l’immortalità che stava vivendo era un sogno buono o cattivo, così come non sapeva se, prima o poi si sarebbe trasformato in una piuma di un corvo nero e portato lontano.
Per ora gli bastava pensare che quella notte c’era bisogno di lui.
Bisognava accontentarsi.

Maxx, a pochi metri di distanza continuava ad osservare annoiato il palazzo fatiscente e la pioggia che cadeva incessante, dando distrattamente ogni tanto un occhiata al suo orologio da polso digitale: se il muso rosso si era offeso era peggio per lui.
Tutti i torti il ciccione però non li aveva. Chas era si in ritardo, ma all’appello mancava un pezzo fondamentale dell’operazione, una lesbica irlandese dal pessimo senso dell’umorismo che rispondeva al nome di Zoe McMillian.
Senza “Butterfly” il Sindacato poteva, quella sera, prendere armi e bagagli e tornarsene al Memphis Belle a guardare lo spettacolo di Sir Williams e di quel fesso in nero di Crisantemo che si insultavano a morte come una coppietta davanti al giudice durante un divorzio.
Se Zoe non fosse arrivata nei prossimi otto minuti non si poteva mettere le mani sul Dottor Tadashi, e senza quello stronzo di un genetista non si poteva accedere ad Efesto.
Genetista poi era una parola grossa, così come definirlo dottore era un offesa al Giuramento di Ippocrate.

« Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dei tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest'arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.
Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.
Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.
Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.
In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.
Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.
E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell'arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro.”


Nadir, grazie alle sue capacità informatiche era riuscita ad accedere ad informazioni secretate su Tadashi e gli studi da lui condotti insieme ad un equipe internazionale, foraggiati da vari governi, in primis da quello Lunare.
Vivisezione, esperimenti su esseri umani ancora vivi, sperimentazioni di farmaci e droghe instabili, studi sugli effetti della deprivazione sensoriale su bambini, clonazione coatta, aborti illegali,eutanasia forzata…i suoi laboratori di studio erano più simili a mattatoti che a cliniche.
La lista delle mostruosità perpetrate da quella bestia in nome di un presunto primato della scienza a scapito dell’importanza della vita non aveva termine.
Mengele, l’Angelo della Morte di Auschwitz era nei suoi confronti un dilettante.
Maxx aveva accettato di partecipare a questa missione per un solo motivo.
Nell’ultimo secolo aveva seguito Chester in lungo ed in largo per il globo, a raccogliere spesso i cocci dei vasi che l’inglese rompeva durante le sue guerre, non venendo mai meno però al giuramento dell’arte medica che per l’australiano non era solo una prassi, bensì l’etica sul quale impostare la propria esistenza, prima da vivo ed ora da immortale. Ora però, in tutta sincerità, ne aveva le palle piene dell’inglese ma, soprattutto la sua coscienza non riusciva più a sopportare di vedere così tante vite spezzate in nome di ideali spesso altisonanti ma intangibili.
Alla sera, appena il sonno buio dell’immortalità cedeva il passo alla Veglia, Maxx si guardava allo specchio mentre la stessa domanda lo torturava senza sosta.
Cosa sei diventato Maxx?
Forse sarebbe stato meglio rimanere in Australia a fare il medico, attraversandola in lungo ed in largo con il suo Piper bimotore, per andare a curare qualche stronzo con l’ulcera, fasciare qualche frattura, aiutare i malati e i bisognosi.
Per un attimo l’australiano rivedeva le larghe pianure, il deserto e l’oceano di quella meravigliosa terra, ma in un attimo il suo pensiero era già tornato in quel buio fatto di pioggia e squallore, in quell’incubo metropolitano mostruoso.
Nei suoi occhi blu cobalto non vi era più vita ne il riflesso del cielo azzurro sopra Melbourne, bensì una ciclopica costruzione innalzata nel Mare del Vuoto sulla Luna, una megalopoli faraonica e decadente che rispondeva al nome di Lunar City.
Quando l’australiano era un bambino sognava di volare: tutti i bambini lo facevano.
“Diventerò come papà” ripeteva quasi ossessivamente alla madre che rispondeva con sorrisi forzati, “imparerò a volare e sparerò agli aerei nemici!”.
Volontario nella Raf, il padre di Maxx venne abbattuto dagli Stuka della Lutwaffe nei cieli di Inghilterra in una calda domenica mattina nel Luglio del 1942.
Grazie al suo sacrificio e a quello di centinaia di altri piloti l’aviazione tedesca era stata respinta ed il sogno di invasione del Regno Unito da parte di Adolf Hitler e del Terzo reich era svanito. L’Operazione Leone Marino era fallita.
Al giovane medico piaceva immaginare che il padre prima di morire abbia alzato la testa all’interno del cockpit e abbia visto ne la luce dei traccianti,ne il fumo nero e acre, ne le fiammate delle esplosioni e nemmeno il bagliore sinistro dei caccia nemici,bensì un cielo d’estate azzurro e terso.
Ma spesso i pensieri non aiutavano a cancellare i ricordi dolorosi.
Maxx non avrebbe mai più volato per portare la morte bensì per salvare la vita delle persone.
A Lunar City non esisteva l’azzurro del cielo e nemmeno l’estate. Ma Sir Williams non aveva paura di volare, anche quando il pericolo e le possibilità di riuscita erano al limite e Maxx non aveva il timore di seguirlo.
Ogni male aveva la sua cura ma quando il malato era un intera società l’unica medicina possibile era la violenza, la dissobedienza, il terrorismo.
Forse…
“Ti sei addormentato?” attaccò Derrek, calpestando con veemenza il mozzicone di sigaro avanzato.
“Non dire stronzate…stavo pensando.”
L’indiano, con una smorfia, tornò ad osservare il nero della notte.
“Quanto manca?”
“Poco, merda. Sei minuti e mezzo.”
Di nuovo il silenzio era calato sui membri del Libero Sindacato.
Il rumore della pioggia scrosciante era in parte intervallato dal suono disturbante delle scariche elettrostatiche che attraversavano i comunicatori.
Ogni tanto il boato del tuono . seguito da spaventose saette inondava la notte, illuminando l’intera Downtown che sembrava assopita nel suo terribile degrado.
Nubi nere e basse coprivano l’atmosfera artificiale, coprendo quasi completamente la struttura dei livelli superiori.
In lontananza si potevano intravedere come sospese nel buio le luci bluastre allo xeno del treno gravitazionale che discendeva la rampa di decelerazione dal Livello 13.
Chas, Arkady, Zenith, Nadir, Mark e D.J. dovevano essere su quel convoglio. Non c’era spazio per il condizionale.
Jimmy Norvok, in quel momento invece era giù al MoonWork, al complesso minerario della Luna a coordinare la sommossa dei lavoratori che quella notte avrebbero marciato per le vie dei livelli superiori , rivendicando i diritti che il governo del Regno Internazionale della Luna aveva loro negato brutalmente.
Cinque minuti…
Improvvisamente una folata di vento attraversò selvaggia il dedalo incoerente di vie, con un sibilo simile al lamento di un morto.
Le parole che Chester aveva snocciolato durante l’ultimo rendez-vous al largo del Mare d’Ebano erano veritiere: di notte nessuno, vivo o morto che fosse si avvicinava a quel distretto della Downtown.
Non era la paura per i criminali, le puttane malate o i diseredati di ogni tipo e genere. Nemmeno i Senza Dio facevano così paura.
Un terrore ben più grande si nascondeva tra quelle macerie.
Molti reietti, instupiditi dall’alcool e dalle droghe sintetiche parlavano in preda ad una confusione insensata di soldati in nero, dei camici bianchi di scienziati asettici, di squadre del terrore di qualche multinazionale che apparivano dal nulla nel cuore della notte, strisciando come fantasmi tra gli edifici.
Ma, anche per questo, i documenti top-secret della Polizia Metropolitana non raccontavano balle
Forse erano solo leggende urbane, oppure una psicosi di massa di persone dimenticate da Dio stesso.
L’unica verità era che in quel distretto erano sparite e continuavano a sparire decine di persone.
La maggior parte di loro erano bambini; centinaia di loro si aggiravano scheletrici per la Downtown, vestiti di stracci e affamati, figli di nessuno, abbandonati nella miseria e nello sporco di quella gabbia fatiscente.
Squadre della morte, composte da agenzie di sicurezza private arrivavano spesso nel cuore della notte a compiere rastrellamenti dove selezionavano i più robusti, adatti a sopravvivere più a lungo alle sperimentazioni.
Gli altri venivano caricati su veicoli blindati e portati nella fetta di terra brulla che divideva Lunar City dal Mare d’Ebano. La Pianura di Cenere.
Qui dopo essere costretti dai soldati in nero a scavare lunghe e profonde fosse venivano messi in fila e falciati senza pietà dalle raffiche incessanti di mitra.
I corpi crivellati cadevano nelle buche come frutti marci mentre, i bulldozer coprivano quel che rimaneva di quello strazio velocemente.
Molti di loro non morivano subito; colpiti di striscio o illesi per miracolo venivano seppelliti vivi.
Le loro vite, per quegli assassini in camicie bianco non valevano nulla; erano semplici oggetti senza valore di cui abusare a piacimento.
Maxx lo sapeva fin troppo bene e proprio per quello aveva deciso di dire un ultima volta di si a Chester e alle sue idee malate. Se far esplodere quel reattore termonucleare avrebbe dato anche una minima possibilità di fermare quell’orrore, bisognava provarci.
A costo di scendere all’inferno e staccare la testa a Satana in persona.
Se fosse sopravvissuto alla Rivoluzione l’australiano aveva già deciso di lasciare il Libero Sindacato e tornare sulla Terra.
Ne aveva abbastanza di guerra e sangue.
Derrek, silenzioso sembrava leggergli nel pensiero.
“Cosa farai Maxx, quando tutto sarà finito?” chiese distrattamente il cheyenne.
“Beh, per prima cosa non starò più a sentire le tue cazzate”, rispose con un sorriso acido l’australiano, guardando nuovamente l’orologio da polso
“…poi tornerò in Australia e mi metterò gambe all’aria al bar di qualche vecchio aeroporto sperduto, fottendomene di tutto e tutti.”
L’indiano, dopo aver sputato distrattamente, aveva fatto un paio di passi in tondo, con la testa reclinata, pensieroso.
“Cosa ti frulla in testa Derrek? Se è per Chester vedrai che prima o poi ti stancherai anche tu del suo modo di fare e…”
“Io, Maxx, ho paura che domani notte, giù al Memphis Belle, qualcuno mancherà all’appello: so che è stupido ma ora che tutto sta per cominciare ho paura..”
“Paura tu? Ma cosa cazzo dici? Non è la prima volta che ci sei in mezzo, ormai dovresti saper come funziona.”
“Si, ma non per questo è facile farci l’abitudine: non temo la morte ma la mia paura è un'altra..”
“Cosa, la dichiarazione dei redditi?”
Derrek, di nuovo tornato silenzioso non aveva risposto alla provocazione del medico.
Sapeva benissimo che Maxx aveva un cuore, nascosto sotto una montagna di merda e cazzate, e quello stesso cuore gli dava non poche rogne.
L’australiano aveva accettato di prendere parte alla missione perché, da qualche parte all’interno del Labirinto antistante l’Officina di Efesto c’era quello che in codice veniva chiamato il Grande Muro.
Questo “grande muro” era un gigantesco schedario contente decine di migliaia di cartelle mediche di uomini, donne e bambini sulle quali erano stati condotti esperimenti dal Governo Lunare.
In quella marea di scartoffie e di dati c’erano le prove inconfutabili che a Lunar City era stato perpetrato un crimine contro l’umanità con il benestare dei poteri forti.
L’australiano poteva raccontare balle a chi voleva, ma non a Derrek che, sotto sotto era il suo migliore amico.
Maxx, con quelle prove, avrebbe lasciato la lotta di strada per intraprendere un nuovo cammino, con l’intento di portare prima sul banco degli imputati poi sulla forca i macellai che si erano resi responsabili di un simile massacro.
“Mancano solo tre minuti! Dove cazzo è quella scrofa di Zoe?” esordì nuovamente il medico, controllando per la milionesima volta prima l’orologio poi gli strumenti all’interno della sua valigetta da dottore usurata.
“Non ne ho la più pallida idea. Nemmeno Nadir risponde al comunicatore.”
“Fantastico. Sono finite le buone notizie?”
“State calmi li giù.”. la voce spettrale di Wolf attraversò nuovamente i comunicatori dei due vampiri.
A questo ulteriore rimprovero da parte dello spetsnaz Maxx rispose con un gesto di stizza, tirando un calcio ad un vecchio cartellone pubblicitario rovesciato a malomodo a terra.
L’immagine di donna su di esso raffigurata ora aveva un occhio in meno per guardare il buio della Downtown.
L’indiano, dal canto suo, aveva chiuso gli occhi e, con un timbro di voce inusuale per la sua stazza aveva cominciato a recitare quella che pareva essere una poesia indiana.


Oh Grande Spirito, la cui Voce ascolto nel vento,
il cui respiro dà vita a tutte le cose
Ascoltami!
Io, Derrek Artiglio d’Orso ho bisogno della tua Forza
della tua Saggezza e del tuo Coraggio!
Lasciami camminare nella bellezza che tu hai creato,
e fa che i miei occhi sempre guardino
il rosso e purpureo tramonto.
Fa che le mie mani rispettino la Natura in ogni sua forma
E che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua Voce.
Fa che sia saggio e che possa capire
Le cose che hai pensato per me e per il mio Popolo
Aiutami a rimanere calmo e forte
Di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.
Lasciami imparare le preziose lezioni
Che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.
Aiutami a trovare azioni e pensieri puri
Per elevare il mio Spirito ed aiutare e proteggere gli altri
a cui dono il mio cuore
Aiutami a trovare la compassione
Senza l’opprimente contemplazione di me stesso.
Io cerco la forza, non per essere più grande fra i miei fratelli
Ma per combattere il più grande nemico: me stesso.
Fammi sempre essere pronto
A venire da te con cuore puro, mani pulite e sguardo fiero
Così, quando la vita appassisce, come quando il tramonto cala sul giorno
Il mio spirito possa
Venire a te senza vergogna.

Appena l’ultima parola riempì l’aria malsana del vicolo, un frammento di secondo prima che da Maxx uscissero insulti di ogni genere per quelle cose che lui detestava a morte, il trillo dei comunicatori portò una voce familiare.
“Chi sarebbe la scrofa!? Pregate di essere già cenere quando vi avrò per le mani..”
Butterfly, era arrivata ed era dall’altra parte della strada, pronta ad entrare in azione.
Derrek aprì gli occhi, quasi consapevole che per certi versi la sua preghiera era andata a buon fine, mentre il medico australiano , ricacciati in gola gli insulti non senza fatica si permise di riflettere un secondo sul canto indiano.
Derrek….
Ora capiva quale era la più grande paura di Derrek.
Ma l’indiano doveva stare tranquillo, quel terrore ce l’avevano tutti: era una cosa naturale avere paura di perdere i propri amici e le persone a cui si vuol bene.
Spesso il semplice pensiero di non poter più vedere un viso conosciuto, di sentire una voce familiare poteva annichilire l’anima.
Ma per altri versi, quando combattevi una battaglia insieme ai tuoi amici, davi il massimo, sapendo che dalle tue azioni poteva dipendere la loro vita.
L’amicizia era anche questa.
Maxx, messa a tracolla la sua valigia, lasciava che sul suo viso albergasse un sorriso ironico.
Non aver paura, amico mio, vedrai che anche questa volta ne verremo fuori…
Senza pensarci due volte, mentre l’indiano con movimenti goffi raccoglieva i ferri del mestiere, l’australiano lasciò andare via un pugno quasi simpatico in mezzo le scapole di Derrek che, d’istinto si era girato inferocito.
“Ma che cazzo fai?”
“Niente. Così impari a bofonchiare le tue solite stronzate…”
“Non sono stronzate…”
“Si che lo sono. Ora muoviti, tra poco tocca a noi”
Il sorriso sul volto di Maxx sembrava non volersene andare.
“Cos’hai da ridere scemo?”
“Niente muso rosso, muovi il culo.”
Derrek sorridendo si mise a camminare, non prima di aver lasciato andare un calcio nel sedere all’australiano.
“Fino alla fine del mondo?”
“Fino alla fine del mondo.”
I due si fermarono e, dopo essersi guardati in volto, scoppiarono a ridere.
“Cosa avete da ridere, bastardi?” gracchiò nuovamente l’altoparlante del comunicatore.
Certe cose Zoe non le poteva capire. Le donne vivevano sempre in modo conflittuale le amicizie, senza poi parlare l’impossibilità per il sesso femminile di instaurare rapporti stretti con gli uomini senza finire presto o tardi a letto con questi.
Ma in quel momento a Maxx e a Derrek non fregava proprio un bel niente delle urla inferocite dell’irlandese.
Per i due amici era troppo divertente far incazzare a morte le donne . Anche questa era amicizia.

Dedicato alla memoria di Andrea Gorreri.
Ci mancherai, Derrek!













 
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