| giudappeso |
| | Interessante discussione, davvero. Di poesie tradizionali non ne conosco, ma anni fa ho scritto una cosa che potrebbe andar bene. Versi di Merda
Un bel dì, dalla collina, rotolò giù ‘na merdina. Era tonda e perfetta. La geometria, l’avea eletta, per la forma sua tornita, tondo esempio d’infinita e squisita complessione, nella forma d’un merdone.
Giust’ ai piè della scarpata, stava lì, ben accampata, una banda di scarabei, che della merda non son plebei. Quest’artisti della cacca, appen’ s’avvider’ che la baracca, fu sfondata dalla merda, il dolor’ posero in resta, e con goduria e immensa gioia s’approntaron’ all’ingoia.
Ma dei quattro, il più esperto, un dibattito volle aperto. Per sentenziar’ la qualità, della merda: «Quella là!».
Il prim’ parlò dell’afrore, che venìa dal merdone. Ne cantò il grande aroma, sentenziando ch’era l’ora, di gettarsi sulla cacca, pria ch’esso andasse in vacca.
Il secondo disse che, quella merda era il re, delle cacche da lui viste rotolare sulle piste. «Certamente, quella cacca, provenìa da ‘na gran vacca».
Ma ‘l terzo, contrariato, si lanciò tutt’infocato nel dibattito animato, spergiurando che ‘l merdino, certo era d’un caprino, che di merde fa pallette in quantità assai benedette.
Ecco ora il Gran Maestro, che di merde era un Vate, alzar’ la voce contro i suoi, e le loro tre menate. «Non capite una mazza!», sentenziò da vecchia pazza. «Questa merda così bella, certo è della pastorella! Non è verde e non è dura. La sostanza si misura, in morbidezza e in colore, come foste dal dottore!».
Ma l’allievi, indignati, presto furon’ contrariati. In unanime sollevazione, contro ‘l Maestro ‘si spaccone, per star certi del trionfo, lo pestaron’ con un tonfo, e tutt’insieme, allegramente, saltaron’ sul vecchio immantinente! Sicché, presto, della blatta, non restò che liquida pappa.
Ma ‘l dibattito, ahimè, continuò per giorni tre!
Fu cosi, che ‘l terzo dì Una mosca venne li.
«Che v’accade cari miei, che ‘sta merda che fa per sei, voi ancor non la toccate, pe’l discorso che vi fate?».
«Cara mosca, è presto detto: quel Maestro maledetto, ci convinse alla tenzone di ragionar’ sulla questione! Di ‘sta merda che tu vedi, noi contammo tutti i pregi, ma giammai giungemmo a capo, della qualità di codesto cacato. Or ci punge ancora ‘l dubbio, col suo acuminato arbusto, d’indovinar’, della merda, il gusto!»
Un po’ confusa e divertita, la mosca disse incuriosita: «Ma perché non l’assaggiate, e cessate ‘ste menate?».
I tre filosofi, indignati, fecer’ gesti scongiurati! «Mai fu detta eresia d’assaggiar’ la merda pria, che ‘l verdetto sia emesso, da questo saggio nostro consesso!».
«Orben, capisco la questione», disse ‘l moscon’ lazzarone. «Visto ch’io son ignorante, di merde, posso mangiarne tante. Alla vostra, se me ne date licenza, potrei dare una sentenza. Con l’assaggio mio potrete, far combaciar’ ciò che saprete, dalla mia descrizione dell’assaggio del merdone!».
Ora tutti gli scarabei, ch’era noto, son babbei, appoggiaron’ la mozione con la gioia d’un cojone.
«Cara mosca, benvenuta, chi ti manda è la Fortuna! Or, risolvi ‘sto dilemma con l’assaggio dello stemma di questa nostra discussione impersonato dal merdone!».
Certo, la mosca non si fece pregare, ma più che assaggiar’, stava a magnare. Con la bocca aperta e ‘l viso beato, sentenziò: «’Sta merda non è degna del vostro palato».
Gli scarabei, immusoniti pe’l lungo discorso, ch’avèa portato a tre giorni di sconforto, lasciaron’ la mosca col grosso merdone, ché mai s’era vista ‘na tal colazione.
E la mosca, più furba, tutto si mangiò, sentenziando: «Insetti più coglioni, giammai s’incontrò!».
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